La strage dei partigiani a Cima di Porlezza (CO) il 21 gennaio 1945

La strage dei partigiani a Cima di Porlezza (CO) il 21 gennaio 1945

di Paola Rosiello associazione “Cittadini insieme”, consigliere Centro studi “Schiavi di Hitler”

Siamo nell’inverno del ’44, un inverno particolarmente rigido. I gruppi partigiani che operano nella zona di confine con azioni di disturbo ai danni dei presidi nazifascisti, sono decimati dai pesanti rastrellamenti di fine novembre. Alcuni ritornano presso le loro famiglie, altri si rifugiano in Svizzera. Solo il gruppo guidato da Giuseppe Selva – “Falco” il suo nome di battaglia – ormai assottigliato, decide di resistere e sceglie come base l’Alpe di Cima, sui monti sovrastanti Porlezza.

Con “Falco” originario del luogo e il più anziano del gruppo – ha 28 anni – rimangono il cugino Angelo Selva di 21 anni, Andrea Capra di Carlazzo di 20 anni, il milanese Gilberto Carminelli di 26 anni, Ennio Ferrari, diciassettenne comasco e segretario del Fronte della Gioventù e l’unica donna, Livia Bianchi di 25 anni, nativa di Melara in provincia di Rovigo. Insieme formano il distaccamento partigiano “Umberto Quaino” dal nome di un diciannovenne friulano disertore della Repubblica di Salò, passato nelle fila partigiane, ma sfortunatamente catturato a Cima e fucilato a Buggiolo, un piccolo borgo della Val Rezzo.

I sei partigiani resistono sull’Alpe in condizioni molto difficili fino al 19 gennaio 1945, quando stremati dalla fame e dal freddo, scendono in paese e si rifugiano nella casa di un collaboratore. La loro presenza viene, però, denunciata al centro antiribelli di Menaggio e già la sera del 20 gennaio il paese è circondato da un reparto di Brigate nere al comando del capitano Emilio Castelli.

Individuata la base del gruppo, i militi repubblicani si appostano nell’edificio di fronte e all’alba iniziano una violenta sparatoria. Impossibilitati a fuggire e a corto di munizioni, i sei sono costretti ad arrendersi con la promessa della salvezza. Sottoposti invece a un interrogatorio sommario, vengono percossi e spogliati e poi condotti sul sentiero che dalla piazza arriva al cimitero per essere giustiziati. Al parroco, che li assiste lungo il tragitto, i partigiani affidano biglietti di addio per i loro cari.

Prima dell’esecuzione viene offerta a Livia Bianchi la possibilità di salvarsi; ma lei rifiuta e si allinea con i compagni davanti al muro del cimitero. La fucilazione avviene nelle prime ore del mattino del 21 gennaio 1945. A Livia Bianchi è stata concessa la Medaglia d’oro al Valor militare.

Questi i biglietti frettolosamente trascritti e affidati al parroco da “Falco” per i suoi cari, pubblicati da Mimmo Franzinelli nel volume Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza 1943-1945, Mondatori, 2006.

Mia adorata moglie,è questo il mio ultimo istante di vita, ti bacio e ti abbraccio, ci rivedremo in cielo. La bambina la proteggeranno tutti.
Tuo Peppino
Robertina, ricordati sempre del tuo papà
Cara mamma, fratelli, cognati e tutti vi bacio e vi abbraccio.
Ci rivedremo in cielo. Ciao ciao.

Da 17 anni Cittadini Insieme in collaborazione con l’Anpi, il Centro Studi Schiavi di Hitler di Cernobbio, l’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta di Como, l’A.N.P.P.I.A. di Como, lo SPI-CGIL-Centro Lago e Valli, con il patrocinio del Comune di Porlezza, ricorda la strage di Cima con innumerevoli iniziative; ma il momento più emozionante è ritrovarsi tutti insieme il 21 gennaio al cimitero di Cima, sotto la lapide che ricorda i sacrificio dei sei partigiani, alla presenza di parenti, testimoni e di un grande numero di studenti dell’Istituto Comprensivo e dell’Istituto d’Istruzione Superiore Ezio Vanoni. Ricordiamo infatti che a Livia Bianchi è intitolata la scuola elementare di Porlezza.

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