Con la sentenza del 22 ottobre 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle norme che impediscono l’accertamento giurisdizionale delle eventuali responsabilità civili di un altro Stato nel caso di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel territorio nazionale, lesivi dei diritti inviolabili della persona garantiti dagli artt. 2 e 24 della Costituzione.
Si tratta di una sentenza storica che ripristina un corretto rapporto fra diritto e giustizia e rigetta il pronunciamento del tribunale internazionale de L’Aja del 3 febbraio 2012 che aveva accolto il ricorso della Germania contro le cause in corso in Italia per crimini di guerra. La corte aveva accusato l’Italia di “venire meno ai suoi obblighi di rispetto nei confronti dell’immunità di uno stato sovrano come la Germania in virtù del diritto internazionale“.
.La decisione della Consulta è un atto chiaro e forte contro la ragion di Stato che governa il riconoscimento – risarcimento morale e storico delle vicende di circa un milione di italiani.
E’ giunto inaspettato, una ventata d’aria fresca in una vicenda che si trascina dalla fine della guerra, ma c’è di più, perché i suoi esiti riguardano i nostri diritti oggi: misurano la sovranità della giurisdizione nazionale alla luce delle convenzioni e dei tribunali internazionali, segnano il confine di libertà e giustizia secondo i principi sanciti dalla nostra Costituzione.
Storia
Deportazione e sfruttamento del lavoro forzato furono giudicati crimini contro l’umanità dal tribunale di Norinberga che condannò nel 1946 i principali responsabili politici, ma non i dirigenti delle imprese tedesche che avevano accumulato enormi profitti con il lavoro dei deportati.
Secondo gli stessi storici tedeschi gli italiani occuparono uno dei gradini più bassi nella scala razziale – economico – politica che regolava il trattamento dei 14 –18 milioni di schiavi di Hitler, in gran parte deportati dall’Europa orientale nel territorio del Reich.
Gli italiani furono gli ultimi prigionieri ad essere rimpatriati dai Lager. Buona parte rientrò autonomamente in condizioni pietose. Almeno 50 mila furono i deceduti nel Reich di fame, malattie, violenze, bombardamenti. Sconosciuto il numero di quanti morirono dopo il rimpatrio.
Rifiutando le offerte di arruolamento nell’esercito di Mussolini e Graziani oltre 600 mila Internati Militari italiani (IMI) espressero in massa il sentimento del Paese. La loro vicenda riguardò altrettante famiglie e coinvolse milioni di italiani. La scelta degli IMI fu un atto esplicito che costò loro il Lager e il lavoro forzato e appartiene a pieno titolo alla storia della Resistenza europea alla guerra e al nazifascismo.
Fu una scelta maturata nei disastri della guerra di aggressione voluta dal fascismo, condivisa dalla monarchia e dalle classi dirigenti sulla pelle del Paese e di due milioni di uomini alle armi.
Una Resistenza senz’armi, come quella dei civili che in Italia collaborarono in varie forme con il movimento di Liberazione, oppure prestarono semplice assistenza a partigiani, ebrei, ex prigionieri alleati, renitenti. Il NO degli IMI rese esplicito il rifiuto di una intera generazione che sfuggiva ai bandi fascisti, nell’attesa della fine dell’occupazione tedesca con le sue spoliazioni e stragi, le deportazioni di ebrei e antifascisti, lo sfruttamento economico, i rastrellamenti e le precettazioni di forza lavoro dall’Italia di circa 100.000 civili.
Traditi dalle alte gerarchie dello Stato e abbandonati al loro destino, gli IMI seppero difendere la dignità della Nazione, sacrificando la libertà personale per l’idea di una diversa umanità.
La loro esperienza è rimasta sepolta nella memoria individuale. Da centinaia di reduci ho sentito ripetere con mestizia e delusione che non valeva la pena raccontare quelle vicende, meglio dimenticare.
I risarcimenti di guerra
Nel dopoguerra l’elaborazione di una memoria della storia più recente, se non condivisa almeno cosciente, fu pregiudicata da profonde divisioni ideologiche e opportunità politiche.
L’occupazione alleata, la guerra fredda e le divisioni tra i partiti determinarono il racconto storico della guerra italiana. la cui Memoria fu frutto di accordi fra diplomazie e all’interno dello scontro politico nazionale. Le corresponsabilità del regio esercito in Slovenia e nei Balcani a danno dei civili divennero una merce di scambio e furono occultate come i fascicoli riguardanti le stragi e i crimini commessi dalla Wehrmacht nell’Italia occupata. Ne fecero le spese anche i reduci dalla Germania che ricordavano precise responsabilità. Deportazione e sfruttamento coatto e Resistenza vennero consegnate all’oblio, estranee alla storiografia e rimosse dalla coscienza storica del Paese.
Con il Trattato di pace del 1947 ai cittadini italiani fu esplicitamente garantito il futuro risarcimento dei danni in base agli accordi che gli alleati avrebbero concordato con la Germania. Nel frattempo il governo italiano rinunciò, nei confronti e a favore degli alleati, di chiedere i danni alla Germania occupata.
In verità tra il 1953-54, con l’accordo di Londra sui debiti del Reich e con il Trattato di Parigi/Bonn (Deutschlandvertrag – Überleitungsvertrag ) la Repubblica Federale assunse l’obbligo di risarcire anche il lavoro forzato dei cittadini italiani, ma soltanto dopo la riunificazione tedesca. Con gli accordi di Bonn del 1961, in attesa della riunificazione, si decise di garantire alle vittime della persecuzione razziale un primo indennizzo, conservando comunque i diritti al risarcimento, con l’obbligo dell’Italia di ratificare l’accordo di Londra, avvenuto nel 1966.
La fondazione tedesca “Memoria, Responsabilità, Futuro”
Nel 2000, undici anni dopo la caduta del Muro, la legge tedesca per il risarcimento del lavoro forzato ha riaperto una ferita mai rimarginata per gli oltre 100.000 ex deportati ancora viventi in Italia.
Promulgata per tamponare i processi promossi dalle organizzazioni ebraiche americane contro le imprese tedesche, la legge ha istituito la fondazione “Memoria, Responsabilità, Futuro”, incaricata di risarcire le vittime del lavoro forzato con un fondo stanziato dal Parlamento tedesco, dai Land e dalle imprese.
La legge tedesca è nata nell’ambito del rapporto fra Stati Uniti, Germania e Israele, per sanare le ultime “pendenze” della guerra. Appartengono a questo capitolo la questione dei fondi assicurativi e dei depositi svizzeri, la commissione Anselmi in Italia per i beni ebraici, la regolamentazione dell’accesso agli archivi tedeschi, oltre alla decisione di indire un giorno internazionale della Memoria.
La legge tedesca ha risarcito deportati politici e razziali e in gran numero i civili rastrellati nell’est Europa, oggi cittadini delle repubbliche nate dopo la dissoluzione dell’Urss.
La fondazione “Memoria, Responsabilità, Futuro”, ha escluso i militari italiani dal risarcimento dopo il parere, senza appello, del professor Tomuschat, docente di diritto internazionale nominato dal ministero delle Finanze tedesco.
Gli italiani sono stati esclusi in quanto considerati “prigionieri di guerra”, uno status che non corrisponde a quello assegnato loro da Hitler di “Internati militari”. Privati della protezione della Croce Rossa e dei benefici della Convenzione di Ginevra furono infatti prigionieri senza diritti, sottoposti a comportamenti arbitrari come documentano gli stessi storici tedeschi.
Verso la causa degli italiani la fondazione si è mostrata irremovibile, non accettando nemmeno di discutere casi limite come quello di Kahla, che impiegò circa 15.000 lavoratori forzati, fra i quali 2.000 – 2.500 italiani, in gran parte civili rastrellati. 6.000 furono i morti senza nome sepolti in una fossa comune. 450 gli italiani di cui venne registrato il decesso.
A fronte della decisione “arbitraria” della Fondazione, lo Stato italiano nulla ha fatto per difendere i suoi cittadini. La causa dei militari e dei civili deportati dall’Italia è stata “consegnata” alla selezione naturale. La questione, di competenza del Ministero degli Esteri è divenuta una pratica dei rapporti bilaterali, più che altro una grana.
Sarebbe costata poco una soluzione politica quando ancora molti erano ancora viventi e a questo abbiamo cercato di lavorare con Ricciotti Lazzero, Claudio Sommaruga e altri reduci, con le loro associazioni, con pochi compagni e amici dal 2000, quando chiedemmo: una iniziativa ufficiale dei due presidenti della Repubblica in un cimitero tedesco dove ancora giacciono gli italiani; un risarcimento economico; l’accesso facilitato agli archivi tedeschi, ma soprattutto le scuse della Germania a queste vittime dimenticate.
Il nostro Parlamento se l’è cavata con pochi soldi e una legge sulla medaglia d’onore, concessa dal 2009 a chi ne fa richiesta documentata. L’unico valore reale dell’onorificenza è che riporta finalmente un nome e un cognome.
La campagna per il risarcimento
Nonostante le delusioni e la scomparsa progressiva dei protagonisti, negli ultimi quindici anni la battaglia civile e storica per un risarcimento – riconoscimento delle vicende degli schiavi di Hitler ha preso corpo e stimolato fortemente il desiderio di rompere il muro del silenzio che ha circondato queste vicende.
Hanno contribuito a questo fatto i nuovi strumenti di comunicazione che hanno unito realtà molto separate, ma soprattutto un desiderio di riscatto pubblico, al di là del risarcimento, che ha mobilitato una parte dei reduci. Questi uomini alla fine della vita hanno sentito il bisogno di trasmettere la loro esperienza alle nuove generazione nel contesto della maggiore sensibilità legata alle celebrazioni del Giorno della Memoria. E’ stato un fiorire di racconti, spesso dolorosi e ri-scoperte di diari, corrispondenze, documenti e immagini su queste vicende oggetto di rimozione storica e mancata giustizia.
Quello fra giustizia e storiografia è un legame stretto e l’esclusione degli italiani dal risarcimento, ha avuto un effetto ulteriore. La fondazione “Memoria, Responsabilità, Futuro”, esaurito il compito di provvedere alla distribuzione dei fondi, ha cancellato gli italiani anche dalla Memoria degli “Zwangsarbeiter” non dedicando loro progetti di ricerca storica.
Le cause giudiziarie
A partire dal 1998 alcuni reduci hanno avviato cause giudiziarie individuali. Nel 2004 la Cassazione ha giudicato legittima la causa civile di Luigi Ferrini, patrocinata davanti al tribunale di Arezzo dall’avvocato Joaquim Lau e nel 2008, ha riaffermato la competenza dei giudici italiani e l’obbligo di pagamento di un risarcimento ai familiari delle vittime della strage nazista del 29 giugno 1944 a Civitella e altre frazioni di Cortona (Arezzo) in cui vennero uccisi 203 civili, in gran parte donne e bambini.
I pronunciamenti della Cassazione e la cinquantina di cause aperte in Italia da parte di ex deportati e per stragi hanno messo gravemente in difficoltà la Germania e mobilitato le diplomazie.
La repubblica federale ha deciso, insieme al governo italiano, di ricorrere al tribunale internazionale de L’Aja rivendicando l’immunità degli stati riconosciuta dal diritto consuetudinario internazionale.
Il governo italiano ha deciso di accettare la competenza della Corte Internazionale senza chiedere nello stesso momento l’accettazione della competenza per la sua domanda riconvenzionale.
La corte de L’Aja il 2 febbraio 2012 accettava il ricorso della Germania, ordinando “all’Italia di prendere tutte le misure necessarie affinché le decisioni della giustizia italiana che contravvengono alla sua immunità siano prive d’effetto e che i suoi tribunali non pronunzino più sentenze su simili casi“.
In pochi in Italia abbiamo reagito a questo pronunciamento, condannato da Amnesty International.
Nel contempo però il Tribunale dell’Aja ha ritenuto che “le richieste originate dal trattamento degli internati militari italiani, insieme a altre richieste di cittadini italiani finora non regolate, possano essere oggetto di un ulteriore negoziato tra gli stati convenuti“.
L’ulteriore negoziato, destinato a chiudere definitivamente la questione, trasferendola dal piano politico – economico – giudiziario a quello storico, ha portato ad una commissione mista italo – tedesca che ha prodotto il documento consultabile al sito: http://www.villavigoni.it/page.php?sez_id=11&pag_id=45&ed_kind=2&lang_id=1, oltre all’avvio di alcuni progetti di ricerca storica.
Il Parlamento italiano con la legge n.5 del 2013 ratificava la decisione de L’Aja nel contesto della “Adesione alla convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni” che all’art. 3 dispone l’espressa esclusione della giurisdizione italiana per i crimini di guerra commessi dal terzo Reich anche per i procedimenti in corso.
Con la decisione del Parlamento italiano la questione della giustizia per gli schiavi di Hitler veniva sepolta sotto una pietra tombale, come avrebbe detto Ricciotti Lazzero, ma non era ancora finita.
Si deve alla costanza, coraggio e capacità professionali dell’avvocato Lau se le sue obiezioni alla legge che bloccava i processi sono state recepite dal tribunale di Firenze che si è rivolto alla Consulta.
La decisione della Corte Costituzionale
La sentenza “storica” della 22 ottobre 2014 della Corte Costituzionale avrà un immediato effetto sulle cause giudiziarie bloccate dalla legge del Parlamento italiano. Alcune diventano esecutive, altre riprendono il loro iter ed è presumibile l’avvio di nuovi procedimenti.
Il pronunciamento riapre anche la spinosa questione di villa Vigoni di Menaggio (Como), centro culturale tedesco in Italia, posta sotto ipoteca giudiziaria in una causa che riguarda la strage perpetrata dall’esercito tedesco a Distomo in Grecia.
La sentenza della Consulta è stata coraggiosa, nonostante forti pressioni politiche. La sopravvivenza di questa vicenda nell’ambito dei rapporti fra i due Paesi è un peso e la questione è ancora lungi dall’essere conclusa. Vedremo quale sarà la reazione dei governi. Le cause adesso ripartono con gli eredi.
Una soluzione politica è solo auspicabile, ma non sembra perseguita. Irrealistico pensarci tanto appare fuori dalle logiche di tutti i governi italiani, che si sono occupati, (o dovuti occupare) di questa vicenda, che se ne sono sempre lavati le mani. La Germania è irremovibile, ma voglio poter anche credere che la questione sia arrivata a un punto per cui costa di più tenerla in piedi che chiuderla. Chissà? In Grecia l’argomento dei risarcimenti è un tema del dibattito pubblico e della campagna elettorale.
Mi preme in conclusione cercare di tornare alla decisione della Corte Costituzionale per i suoi effetti sul nostro presente.
Dichiarando che le norme del tribunale internazionale dell’Onu approvate dal Parlamento sono lesive dei diritti riconosciuti dalla nostra Costituzione la Corte si pronuncia sullo svuotamento della carta costituzionale quanto su diritti individuali, principi di sovranità, convenzioni e tribunali internazionali, immunità degli Stati, giustizia e politica della Memoria, cristallizzata il 27 gennaio di ogni anno. Sono tutti temi dell’oggi che non riguardano solo i familiari dei reduci, avvocati, giudici e pochi altri, ma sollecitano un’ampia riflessione e partecipazione pubblica.
Valter Merazzi 18/12/2014