Commemorazione dei martiri di Cima di Porlezza


All’annuncio dell’armistizio il territorio comasco è attraversato da militari sbandati, prigionieri alleati, ebrei in fuga verso il confine svizzero sulle vecchie piste del contrabbando. Con il passare del tempo si organizzano bande partigiane con elementi di diversa provenienza: lo scopo è resistere con azioni di disturbo all’occupazione nazifascista.

Nell’autunno del 1944 sotto il comando di Giuseppe Selva “Falco” (28 anni), operaio originario di Cima, si forma il distaccamento “Umberto Quaino” attivo sulla sponda italiana del Ceresio: l’Alpe Vecchio a quota 1.011 metri è scelta come base operativa. A fine novembre un pesante rastrellamento disperde il gruppo e Falco è costretto a riparare oltre confine. Rientrato subito in territorio italiano ricostituisce un nucleo con i pochi elementi determinati a continuare la lotta: suo cugino Angelo Selva “Puccio” (21 anni), Livia Bianchi “Franca”(25 anni), Andrea Capra “Russo” (20 anni), Gilberto Carminelli “Fausto” (26 anni). Al gruppo si aggiunge anche Ennio Ferrari “Carlino”- “Filippo” (17 anni), segretario del Fronte della Gioventù comunista, mandato da Como per assistere il distaccamento.

I sei partigiani resistono sull’Alpe in condizioni molto difficili fino 19 gennaio 1945, quando, stremati dalla fame e dal freddo, scendono in paese e si rifugiano nella casa di un collaboratore. La loro presenza viene, però, denunciata al centro antiribelli di Menaggio e già la sera del 20 gennaio il paese è circondato da un reparto di Brigate nere al comando del capitano Emilio Castelli. Individuata la base del gruppo, i militi fascisti si appostano nell’edificio di fronte e all’alba iniziano una violenta sparatoria. Impossibilitati a fuggire e a corto di munizioni, i sei sono costretti ad arrendersi con la promessa della salvezza. Sottoposti a un interrogatorio sommario, vengono percossi e spogliati e poi condotti sul sentiero che dalla piazza arriva al cimitero per essere giustiziati. Al parroco, che li assiste lungo il tragitto, i partigiani affidano biglietti di addio per i loro cari.

Prima dell’esecuzione viene offerta a Livia Bianchi la possibilità di salvarsi; ma lei rifiuta e si allinea con i compagni davanti al muro del cimitero.

La fucilazione avviene nelle prime ore del mattino del 21 gennaio 1945.

A Livia Bianchi è stata concessa dallo Stato italiano la Medaglia d’oro al Valor militare.

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