Cima 21 gennaio 1945 – Per non dimenticare

Settantasei anni fa si consumava la strage dei sei partigiani fucilati a Cima di Porlezza, uno degli episodi più efferati della guerra civile e di liberazione in territorio comasco. Il più “anziano” aveva 28 anni, il più giovane solo 17.

Per i “ribelli” di Cima – così venivano definiti dai loro carnefici – l’associazione Cittadini Insieme di Porlezza e Valli da ormai quasi due decenni organizza, grazie al patrocinio del Comune di Porlezza, una delle manifestazioni più partecipate sul lago di Como con una grande moltitudine di studenti e rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni, tra tutte l’ANPI di Dongo e Como, l’Istituto di Storia contemporanea Pier Amato Perretta di Como, il Centro Studi Schiavi di Hitler di Cernobbio, lo SPI-CGIL-Centro Lago e Valli.

Con nostro grande rammarico quest’anno la pandemia ci ha impedito di ritrovarci sotto la lapide commemorativa del cimitero del piccolo borgo sul Ceresio come avremmo voluto e dove avremmo ricordato, insieme al sacrificio dei sei giovani, due persone a noi care che il 2020 ci ha portato via: Corrado Lamberti, l’uomo delle stelle, l’attivista politico e Umberto Savolini, giornalista e critico musicale, fondatore e perno della nostra associazione.

Due maestri di vita, due persone poliedriche, accomunate dalla passione con cui coltivavano i loro interessi molteplici, dall’impegno politico fondato sugli stessi valori e soprattutto da una fiducia incrollabile nei giovani ai quali hanno sempre costantemente rivolto le loro energie.

E soprattutto due partigiani della memoria. Perché oggi, in un momento in cui la pandemia ci sta sottraendo gli ultimi sopravvissuti alle deportazioni, alle stragi nazifasciste, gli ultimi testimoni del regime liberticida del ventennio e dei terribili mesi dell’occupazione, la memoria della Resistenza sia non solo quella di chi effettivamente vi partecipò, ma anche la memoria di chi si è battuto per presidiarla. Sia questa la nuova Resistenza.

Adesso più che mai. In questa notte “sanza tempo tinta” in cui rabbia sociale, intolleranza, vecchie e nuove disuguaglianze minacciano ovunque quell’idea di  democrazia e libertà per la quale i sei martiri di Cima lottarono perdendo la vita, noi ci appelliamo alla responsabilità, singolarmente e di tutti, poiché non esiste vera libertà che non sia responsabile.

Se salvare il corpo e la sua integrità rappresenta oggi l’imperativo dei governanti, noi ci preoccupiamo di salvare lo spirito senza il quale il corpo è vuota forma. E lo spirito si nutre della memoria del tempo, che è fatto di crisi e di rinascite. “Senza crisi – diceva il grande Einstein – non ci sono meriti. E’ dalla crisi che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi sfuggiamo alle nostre responsabilità e quindi non maturiamo. Dobbiamo invece lavorare duro per evitare l’unica crisi che ci minaccia: la tragedia di non voler lottare per superarla”.

E’ proprio ciò che la vicenda di Cima riassume in modo esemplare e sempre attuale.

Con questo spirito vi riproponiamo quanto accaduto il 21 gennaio del 1945.

All’annuncio dell’armistizio l’8 settembre 1943 il territorio comasco è attraversato da militari sbandati, prigionieri alleati, ebrei in fuga verso il confine svizzero sulle vecchie piste del contrabbando. Nella primavera del 1944 sulle rive del Ceresio si organizzano bande partigiane con elementi di diversa provenienza: lo scopo è resistere con azioni di disturbo all’occupazione nazifascista. Tra queste, il gruppo guidato da Giuseppe Selva “Falco”, nativo del borgo di Cima di Porlezza.

Dopo i rastrellamenti che investono i monti sovrastanti Porlezza – siamo alla fine di novembre del 1944 – il nucleo originario, rifugiato all’Alpe Vecchio di Cima, si assottiglia: parte degli uomini si rifugia in Svizzera, altri tornano alle loro famiglie. Con “Falco” rimangono il cugino Angelo Selva, Andrea Capra, di Carlazzo, il milanese Gilberto Carminelli, Ennio Ferrari, diciassettenne comasco e Livia Bianchi di Melara (Rovigo). Nonostante la sproporzione delle forze e le avverse condizioni climatiche – è uno degli inverni più rigidi del secolo scorso – continuano a lottare come distaccamento partigiano “Umberto Quaino”.

Il 19 gennaio 1945 la fame e il freddo spingono il gruppo a scendere in paese e nascondersi nella casa di un collaboratore, ma loro presenza è denunciata da un delatore al Centro antiribelli di Menaggio. Circondati dalle Brigate Nere al comando del capitano Emilio Castelli, dopo una violenta sparatoria, i sei partigiani si arrendono: percossi e sottoposti a un sommario interrogatorio, vengono fucilati al cimitero del paese all’alba del 21 gennaio. Livia Bianchi, a cui viene offerta la possibilità di evitare la morte, rifiuta e si affianca ai compagni prima della raffica mortale. Per questo gesto di estremo coraggio le è stata concessa nell’immediato dopoguerra la Medaglia d’oro al Valor militare.

Paola Rosiello –  Associazione Cittadini Insieme di Porlezza e Valli

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